Articolo sul giornale “L’Arena” del 21 dicembre 2006

Giorgio & Alberto Tremante

Via Danilo Preto, 8

37133 VERONA

tel. 045 8402290

 

 

 E', dall’ormai lontano maggio del 1984, che mio figlio Alberto vive con un supporto respiratorio a domicilio. Posso per questo motivo vantarmi, di essere stato il primo in Italia a portare a casa un bambino, che a quel tempo aveva solo otto anni continuativamente dipendente da un respiratore automatico. Fui costretto ad agire così poiché, dopo la degenza durata sei mesi nel reparto di rianimazione in un ospedale in provincia di Milano ed un mese nella mia città, Verona, per Alberto, ci era stata proposta dai sanitari che lo avevano in cura, come unica terapia a loro dire pensabile, quella di staccare il respiratore che lo teneva in vita ed imporgli “l’eutanasia”.

Oggi il mio ragazzo ha compiuto trent’anni e vive una vita, tutto sommato "normale". Affrontando grandi difficoltà ha frequentato le scuole di grado inferiore e superiore, fino al raggiungimento del diploma magistrale e, dopo un ricorso al consiglio di stato durato cinque anni non avendo potuto sostenere l’esame per l’anno integrativo, impossibilitato perciò ad essere iscritto all’Università; quest’anno finalmente il mio “uomo” è stato iscritto alla Facoltà di Scienze della Formazione. Come già ho detto, fui il primo a riuscire a portarmi a casa un bambino, assumendomene la totale responsabilità del caso, avendo precedentemente se pur in modo artigianale, allestito nel nostro domicilio una vera sala di rianimazione. Certamente tutto ciò non è stato affatto facile, strappare letteralmente il bambino da un reparto di rianimazione e per lo più contro il parere sei sanitari che lo avrebbero dovuto curare; i quali, nel tentare di bloccare questo mio intervento, si rivolsero al giudice dei minori, producendo false giustificazioni, arrivando perfino a farmi togliere "la patria potestà". Malgrado questo assurdo e criminoso modo di agire, riuscii nel mio intento. Oggi mio figlio vive, ancora attaccato al respiratore solo durante la notte. Il messaggio che lui ha sempre trasmesso a me, ed a sua madre, quando Franca era ancora in vita, è sempre e solo stato il suo grande “attaccamento alla vita” e la sua "grande voglia di vivere". Ha accettato persino il suo grave stato di handicap che lo ha costretto, il più delle volte, a rinunciare a tantissime cose che i suoi coetanei si potevano e si possono comodamente permettere. Dopo questo doveroso preambolo, mi chiedo come si sia potuta permettere questa speculazione mediatica su una disgrazia così aberrante come quella di staccare i tubi del respiratore ad una persona che, forse non pienamente convinta, chiedeva che ciò  gli venisse compiuto. Come si può permettere di costruire una polemica strumentale e certamente volutamente politicizzata sul caso come quello del signor Weldy? Certamente il signor Welby manco era a conoscenza che, in Italia, lui e come lui tanti altri distrofici con i medesimi requisiti di salute, stanno sopravvivendo seppur attaccati ad una macchina, il merito di ciò va attribuito principalmente alla tenacia che abbiamo pagato nella lotta che mia moglie ed io abbiamo fatto nel 1984 per  salvare la vita a nostro figlio Alberto. Mi rattrista pensare che questo signore voglia finire la sua esistenza, facendosi staccare la spina del respiratore, in modo così clamoroso ed esageratamente pubblicizzato da partiti politici e supportato dagli organi d’informazione al solo scopo di “fare notizia”. In conseguenza a ciò vien logico pormi una domanda: “ho fatto bene a portare a termine quell’arduo conflitto con le Istituzioni per dare anche al signor Werdy e ad altri come lui la possibilità di sopravvivere?” Vivere, (eufemisticamente parlando), "sereni", nella propria abitazione vicino agli affetti più cari? Sono convinto che questo signore sia stato  solo usato e inaridito da qualche corrente politica con lo scopo di far approdare anche nel nostro Paese una legge che dovrebbe permettere l'eutanasia, o per meglio dire per legalizzare, in un certo qual modo "l’omicidio". Pur avendo sacrificato più della metà della mia vita, poiché ho superato già  i 65 anni di età consumati in questa, chiamiamola così, "disavventura", sono convinto che sarei pronto a rifare nuovamente esattamente ciò che ho fatto per consentire la sopravivenza, seppur anche limitata, ad un qualsiasi essere umano. Già troppe volte, nel silenzio delle varie sale di rianimazione, verranno compiuti tali gesti, per me sconsiderati, che in genere vengono supportati solo ed esclusivamente dal quesito di “convenienza” per far sopravvivere o meno questi individui. Il togliere la vita ad un nostro simile è un potere che non spetta a nessuno di noi, nemmeno ai signori medici se questi veramente fondano la loro professione sul celebre "giuramento d’Ippocrate". Il nudo calcolo della convenienza è stato posto anche a me, all'Istituto Superiore di Sanità nel 1983 dall'allora responsabile della farmacopea nazionale dottor Duilio Poggiolini, il quale con un tono mellifluo pronunciò testualmente queste parole: "vede, signor Tremante, non conviene far sopravvivere suo figlio, costerebbe troppo alla collettività". Lascio ai posteri il giudizio di questa sconsiderata frase gettata in faccia ad un padre che tentava disperatamente, in quel momento, di salvare la vita al proprio figlio. Vorrei che almeno ognuno di noi riuscisse a porsi delle istanze ai tanti interrogativi che tale ampio e complesso argomento ora ci propone, pensando magari a: “e se questa decisione dovessimo prenderla su di noi o su di un nostro stretto congiunto (magari su di un nostro figliolo)?” Ritengo per ultimo doveroso, per non infiammare ancor più questa polemica che, secondo me, ogni singolo caso debba essere preso in considerazione fine a se stesso.

                                                                                                                    

Verona 20 dicembre 2006                                                                            Giorgio Tremante

 

Comunicato stampa  contro l’Eutanasia

 

Comunicato Stampa sulla difesa del diritto soggettivo alla “VITA”.

Lettera aperta, provocatoria, al Presidente Napoletano, Marini, Bertinotti e Prodi per l’EUTANASIA”

NESSUNA RISPOSTA ne da Napolitano, ne da Marini, ne da Bertinotti, e ne da Prodi.

 

Quanti di questi  innumerevoli e già noti “Casi Tremante” dovranno succedere ancora prima che le Istituzioni si prodighino per evitare questi genocidi?

Non con promesse fasulle mai mantenute, ma con azioni atte ad evitare tali drammi.

Ecco forse come:

 

1 - Togliendo l’obbligo vaccinale che ormai è diventato anacronistico negli anni 2000.

 

2 - Dando la corretta informazione alla popolazione non solo sui presunti benefici, ma contemporaneamente sui “reali” danni che tali pratiche comportano, usate così indiscriminatamente come si è fatto fino ad ora.

 

3 - Proponendo uno screening immunologico preventivo su tutti i soggetti che dovessero essere sottoposti alla pratica vaccinale.

 

4 - Rivalutando, infine, il bilancio “Costo - Beneficio” attraverso una seria e corretta ricerca epidemiologica, libera dal potere delle multinazionali.

ANNO 2007

Lettera del Senatore Ignazio Marino, Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato.

E perché non si è occupato di rendere libere anche le vaccinazioni? Forse non le considera un atto sanitario pericoloso?